Sa Die de sa Sardigna 2021

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Sa die de sa Sardigna (AFIsa ˈði.e ðe za zaɾˈdiɲɲa; in sassarese La dì di la Sardhigna, in gallurese La dì di la Saldigna, in algherese lo dia de la Sardenya, in italiano Il giorno della Sardegna) è una giornata di festività istituita dal Consiglio regionale della Sardegna con la Legge Regionale 14 settembre 1993, n. 44, nominandola Giornata del popolo sardo.[1]

La festività vuole ricordare la sommossa dei vespri sardi del 28 aprile 1794 che costrinse alla fuga da Cagliari il viceré Vincenzo Balbiano e i funzionari sabaudi, in seguito al rifiuto di soddisfare le richieste dell’allora Regno di Sardegna per riservare ai sardi le cariche pubbliche, un Consiglio di Stato a Cagliari, vicino alla sede del viceré e l’istituzione a Torino di un Ministero per gli affari della Sardegna. Domato il grosso della rivolta, alcune richieste furono accolte nel 1796.

In occasione della festività, diversamente dalla festa del santo patrono, gli uffici pubblici dell’isola rimangono aperti, mentre chiudono le scuole

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Serpeggiando sempre più il malcontento nei confronti dell’amministrazione diretta piemontese,[2][3][4] negli ultimi decenni del Settecento si creò un movimento di ribellione che attraversò tutta l’isola, in prossimità con gli eventi rivoluzionari francesi e i fermenti sorti in varie parti d’Europa (IrlandaPoloniaBelgioUngheriaTirolo). Nel 1793 una flotta francese tentò di impadronirsi dell’isola lungo due linee, l’una nel Cagliaritano[5] e l’altra nei pressi dell’arcipelago della Maddalena, guidata dall’allora giovane ufficiale Napoleone Bonaparte,[6] riparato in Francia continentale in seguito all’insurrezione paolina appoggiata dagli inglesi. I Sardi opposero però resistenza e, riuscendo a sventare tale piano, cominciò a montare nell’opinione pubblica un sentimento di rivalsa nei confronti della Corona sabauda per la difesa del Regno.

I Sardi chiesero così che fosse loro riservata gran parte degli impieghi civili e militari e un’autonomia maggiore rispetto alle decisioni della classe dirigente locale.[7] Al perentorio rifiuto da parte del governo piemontese di accogliere qualsiasi richiesta,[8][9] la borghesia cittadina organizzò così con l’aiuto del resto della popolazione il moto insurrezionale.

L’episodio finale che condusse alla contestazione fu l’arresto ordinato dal viceré di due capi del cosiddetto “partito patriottico”, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Il 28 aprile 1794 (data nota come sa dì de s’acciappa,[10] ossia “il giorno della cattura”) la popolazione inferocita allontanò dalla città tutti i 514 funzionari continentali, compreso il viceré Balbiano, che nel mese di maggio di quell’anno furono imbarcati con la forza e cacciati via dall’isola. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, le popolazioni di Sassari e Alghero fecero altrettanto, coinvolgendo poi il resto dell’isola nell’entroterra rurale.[11] La Sardegna diventò, così, il primo paese europeo a promuovere una propria rivoluzione seguendo l’esempio francese, senza che questa risultasse un fenomeno d’importazione esterno, trasferito altrove militarmente.[12]

I moti antifeudali furono successivamente guidati per altri due anni da Giovanni Maria Angioy, alto magistrato del Regno di Sardegna, salvo essere alla fine repressi dalle forze lealiste, ingrossatesi in seguito alla stipulazione del trattato di pace sottoscritto da Napoleone e Vittorio Amedeo III.[13] L’esperimento rivoluzionario sardo giunse così al termine, e l’isola rimase sotto la giurisdizione sabauda;[14][15] a breve sarebbe subentrato un nuovo viceré[16]. A esso seguì un periodo di restaurazione aristocratica e monarchica,[17] culminato nella Fusione perfetta del 1847, che non riuscì a spegnere altri spontanei focolai di ribellione occorsi tra il 1802 e il 1821, fra cui la cosiddetta “congiura di Palabanda” cagliaritana del 1812[18] e la rivolta algherese del 1821.[19]

(da Wikipedia)

 

 

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