24 Apr
Il Consiglio dei Ministri ha licenziato il testo del decreto legge che dovrebbe portare all’ennesima riforma del reclutamento e all’ennesimo sconfinamento della Legge (..meglio del governo) in materia contrattuale.
Il provvedimento, dicono, si rende necessario per ottenere i finanziamenti previsti dal PNRR. Peccato che i finanziamenti attesti siano finalizzati soprattutto alla riconversione dell’attuale edilizia scolastica, a nuova edilizia scolastica e all’implementazione del “servizio” della scuola dell’infanzia e dei nidi. Come è noto i soldi del PNRR non possono essere utilizzati per aumenti stipendiali dei docenti e del personale della scuola. Anzi il DEF, recentemente licenziato dal Parlamento, prevede incredibilmente una riduzione degli stanziamenti per la scuola in nome del previsto decremento demografico dei prossimi anni. Concretamente: non si tocca il numero di allievi per classe se non in casi specifici, si mantengono inalterati i fondi per il rinnovo contrattuale, si tende ad aumentare surrettiziamente il carico di lavoro dei docenti mettendo mano a contenuti, metodologie e formazione. Si sconfessano tutte le banalità circa l’eroismo dei docenti e delle scuole che hanno contraddistinto il periodo della pandemia (non ancora messo in soffitta) e si dimentica il contesto in cui si dovrebbe riaprire il rinnovo contrattuale dopo tre anni di ritardo e in una situazione di oggettiva crisi sociale ed economica aggravata da inflazione e tensioni internazionali accentuate dalla guerra in Ucraina.
Il Ministro Bianchi promette l’immissione in ruolo di 70 mila docenti entro il 2024. Calcolando il numero di pensionamenti e il decremento del numero di cattedre derivato dall’andamento demografico si tratta si semplice turn over del personale in essere. Ricordiamo che tutti i precedenti ministri hanno promesso numeri analoghi o superiori senza ottenere il risultato promesso aumentando la strutturale presenza del precariato nella scuola. Sulla questione dei concorsi interverremo con altro commento.
La parte più preoccupante è relativa alla formazione. L’art. 16-ter parla al punto 1 di “Formazione in servizio incentivata e valutazione degli insegnanti”. Dal 2023-24 si introduce un’altra formazione obbligatoria su competenze digitali e uso critico e responsabile degli strumenti digitali nell’orario di lavoro. Non si capisce bene quale peso orario potrà avere e quali caratteristiche avrà, visto che simili esperienze erano già state inserite con precedenti provvedimenti (vedi ad es. l’animatore digitale e tutto quello che ne consegue). Ma un fatto è certo: ci saranno verifiche intermedie e finali sui contenuti del digitale. Chi le farà non si sa.
Peggio va per i punti successivi dell’art. 16-ter. Si introduce un sistema di formazione e aggiornamento permanente degli insegnanti con percorsi triennali. Sono parte integrante di tali percorsi attività di progettazione, mentoring e coaching (???possibile che si usino sempre parole inglesi per nascondere il nulla dei contenuti??) a supporto degli studenti nel raggiungimento degli obiettivi con nuove modalità didattiche. Il docente dovrebbe fare tali attività in ore aggiuntive a quelle dell’orario di lavoro che, se funzionali all’ampliamento dell’offerta formativa, potrebbero essere retribuite in misura forfetaria con il FIS (quota contrattata dalle RSU??). Una cosa scandalosa che, se attuata, svuoterebbe gran parte del FIS. Ma la cosa incredibile è che questi corsi di formazione resterebbero su base volontaria, ma non per gli immessi in ruolo a partire dall’anno scolastico 2023-24 prevedendo che il prossimo CCNL riconoscerà l’obbligatorietà di fatto per tutti. Il governo ha deciso già parte essenziale del prossimo CCNL.
Per stabilire contenuti e e organizzazione generale della formazione viene creata ad arte la Scuola di alta formazione dell’istruzione. Un altro organismo che collaborerebbe con INVALSI e INDIRE che avrebbe il compito di gestire l’accreditamento degli enti e delle istituzioni titolate per erogare formazione, l’adozione delle solite “linee di indirizzo” sui contenuti della formazione e il “raccordo della formazione abilitante degli insegnanti alla formazione in servizio”. La sua composizione prevederebbe un presidente, un comitato di indirizzo (5 componenti), la direzione generale e un comitato scientifico (7 componenti).
Non mancano le “novità” relative ai possibili compiti della Scuola di alta formazione, novità che riprendono vecchi concetti berlingueriani-gelminiani e renziani. All’art. 1-bis punto 3 viene delegata alla Scuola di alta formazione i percorsi di formazione finalizzati alla costituzione del middle management (organizzazione della scuola, attività di progettazione e sperimentazione, ecc.). “Nell’ambito delle prerogative dei propri organi collegiali” ogni scuola deciderà le figure necessarie per il PTOF, il rapporto di autovalutazione e il Piano di miglioramento dell’offerta formativa.
Al punto 4 dello stesso articolo si introduce il concetto di premialità economica per tutti i docenti che accetteranno di partecipare al sistema di formazione permanente di durata almeno triennale. Alla fine di ogni segmento del percorso, caratterizzato da verifiche intermedie e finali. Si tenta ancora di differenziare i livelli retributivi (o accelerazioni di carriera stipendiale) come già avevano fatto il Ministro Lombardi nel 1995, seguito a ruota da Luigi Berlinguer con il concorsaccio. La prova finale per il passaggio tra un gradino e l’altro del percorso incentivante sarebbe deciso dal comitato di valutazione integrato da un dirigente tecnico e un dirigente scolastico di altro istituto e dovrebbe verificare se gli indicatori di performance sono stati raggiunti. Ma quali sono gli indicatori di performance ??. Non si sa. Si sa solo che saranno “declinati” rispetto al PTOF della singola scuola su criteri generali stabiliti da Ministero, Invalsi e Scuola di alta formazione in applicazione delle tematiche stabilite dall’allegato A del decreto. Per riconoscere le ore eccedenti effettuate nella formazione oltre quelle inserite nell’orario di lavoro sarà costituito un Fondo per l’incentivo con “l’obiettivo di riconoscere tale incentivo in maniera selettiva e non generalizzata”.
In una fase transitoria “nelle more dell’adeguamento del contratto” i docenti dovrebbero svolgere settimanalmente almeno 1 ora aggiuntiva nella scuola dell’infanzia e primaria e 2 ore aggiuntive nella scuola secondaria. Ore aggiuntive rispetto all’orario di cattedra, evidentemente obbligatorie, mentre resterebbero dedicate alla formazione incentivata 15 ore annuali per l’infanzia e la primaria e 30 ore annuali per la secondaria. Bianchi perciò immagina un aumento generalizzato del monte orario dei docenti senza alcun riconoscimento stipendiale aggiuntivo rispetto a quello, misero, previsto dal DEF.
Da quello che si evince l’incentivazione formativa si concretizza in una sorta di ritorno del bonus merito dei docenti previsto dalla legge 107/15 che sarebbe deciso a livello di singola scuola e non farebbe parte dello stipendio tabellare.
Da queste poche note si può solo rimarcare che l’ideologia astratta del merito e della performance resta al centro delle scelte del governo con maggiori oneri per il personale docente e riducendo ulteriormente il ruolo della contrattazione e del sindacato. Ma preoccupa il fatto che tutte questa confusa riorganizzazione della formazione diventa riorganizzazione dell’attività didattica dei docenti in cui i contenuti sono definiti da Ministero, Invalsi, Indire e Scuola di alta formazione. Una nuova didattica di regime che potrà limitare ulteriormente la libertà di insegnamento che dovrebbe essere difesa a livello costituzionale.
Una vera provocazione nei confronti della categoria dei docenti.
Il decreto, che farà parte del decreto sul PNRR, è suscettibile di modifiche in Parlamento. Confidiamo che i docenti non restino passivamente a subire tali scelte sciagurate. Nel passato sono riusciti a rintuzzare in più occasioni tentativi analoghi. Ci sono ampi spazi di resistenza e opposizione.