03 Nov
La formuletta “Diritto alla disconnessione” fu introdotta nel 2018, come misura di contenimento della pervasività delle comunicazioni scolastiche, strombazzata come una novità dirimente del Contratto Scuola: inizialmente fu salutata con grande entusiasmo e venne normata in tutte le contrattazioni di istituto, con l’intento di arginare effettivamente la strabordante marea delle circolari a tutte l’ore. In parte ci si riuscì, ma quello che uscì dalla porta, rientrò poi dalla finestra, con What’s app, le cui chat sono diventate uno strumento di lavoro o, ancor peggio, di confronto non solo personale. Per il resto, la disconnessione è pura e semplice utopia, una scusa non retribuita, perché seppur è vero che si può non rispondere ad una mail, è comunque piuttosto difficile ignorarla e se questa arriva anche la sera o la domenica mattina, è inevitabile che si pensi fin da subito a come risolvere il problema. Tra l’altro, se è possibile disciplinare, in qualche modo, le comunicazioni istituzionali (è peraltro interesse reciproco dello staff e della dirigenza evitare di comunicare nei tempi del riposo), non si riesce invece a fermare la pervasività delle richieste degli studenti (“Prof, ma domani mi interroga?”) o dei genitori (“Le volevo segnalare che domani mio figlio non potrà essere presente…”) e persino anche dei colleghi, che spesso scrivono nel weekend, perché più liberi dagli impegni scolastici. Insomma, il diritto alla disconnessione è stato la mancata monetizzazione di un aumento contrattuale: meglio sarebbe (stato) attribuirgli un valore economico e trasformarlo in un aumento stipendiale.
Altro fenomeno da monetizzare nei nostri stipendi, in questi tempi dominati da Internet, è l’inserimento digitale di tutto il cartaceo prodotto dai compiti in classe: dal momento che non si può più accumularlo, dentro e sopra gli armadi scolastici, a causa della prevenzione antiincendio, allora i docenti devono scannerizzare e riversare tutti i compiti raccolti e classificati in archivio. Paradossalmente questo lavoro di inserimento si chiama dematerializzazione, pur essendo un carico di lavoro piuttosto “materiale” e pesante, che si può svolgere peraltro solo fuori dal proprio orario di servizio. Lavoro aggiuntivo, non retribuito, da cui non si può prescindere e che si può retribuire solo con la leva salariale. Il web ci pervade ed è difficile fermarlo fuori dalla porta della nostra vita, ma se riguarda il lavoro, se non è personale, allora va riconosciuto, dal momento che non si può professionalmente evitare.